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Blue-jeans: l'origine del pantalone più famoso della storia

  • Eleonora Bonventre
  • 6 nov 2015
  • Tempo di lettura: 3 min

Levi Strauss, americanizzazione del tedesco Löb Strauß (1829-1902), nel 1853 aveva fatto le valigie, salutato i parenti ed era salpato da New York diretto a San Francisco. Era convinto che le terre californiane, a quel tempo in piena corsa all’oro, sarebbero state un buon affare per l’azienda di famiglia, un’industria di abbigliamento. Per questo si era fatto dare dai fratelli Jonas e Luis un bel carico di pantaloni, maglie e tessuti vari – gli servivano per avviare il suo business sulla costa occidentale degli Stati Uniti – ed era partito. In realtà, da buon venditore ambulante quale era, l’affare lo fece già in viaggio, piazzando quasi tutta la merce tra i passeggeri della nave. Così, quando sbarcò a San Francisco, nel baule aveva solo qualche ruvido tessuto per i tendoni dei carri. Fu la sua fortuna: lo tagliò e ne ricavò un bel paio di pantaloni resistenti, che fecero la gioia di un minatore della zona, stufo di indossar vestiti che si rompevano di continuo. Erano quelli i primi Levi’s della storia.

Una volta stabilitosi nella nuova città, Strauss fece rifornimento e mise su una filiale dell’azienda familiare, la Levi Strauss & Co. Oltre alle vendite, nel tempo libero produceva i suoi pantaloni, i quali nel frattempo erano divenuti molto famosi tra i minatori, ma ancora ben lontani da come li conosciamo oggi. La trasformazione verso i moderni Levi’s infatti avvenne per gradi. Il primo passo fu quello di scegliere un tessuto più comodo, diverso da quello dei tendoni inizialmente usato, troppo ruvido sulla pelle. La scelta cadde sul un tessuto della città di Nimes, in Francia, abbreviato in America come denim, dal caratteristico aspetto blu della tinta usata per colorarlo.

L’idea di Strauss in realtà non era nuova: qualche decennio prima ci avevano già pensato gli ingegnosi marinai di Genova a fare lo stesso con un telo bluastro (forse proprio il denim o forse del fustagno italiano) usato per le vele delle navi. Ma l’inventiva del popolo italiano non andò comunque persa, e una traccia ne rimase almeno nel nome dei pantaloni da lavoro di Strauss: blues Jeans, dove il primo termine si riferisce ovviamente al colore, e Jeans sta per Genes, con cui allora ci si riferiva ai genovesi.

Il secondo passo verso il successo invece si deve a un sarto: JacobDavis (1831-1908), cliente di Strauss. Nella sua sartoria di Reno, nel Nevada, nel 1871 Davis aveva trovato un modo per fissare una volta per tutte le tasche ai pantaloni senza che – una volta cariche di attrezzi, pepite e cianfrusaglie varie – cedessero lasciando cadere tutto in terra. Davis era riuscito a rinforzare i pantaloni dei lavoratori applicando nei punti più delicati dei rivetti di rame. Ma pur desideroso di sfruttare commercialmente la sua invenzione, e di rivendicarne la paternità, non aveva abbastanza soldi da far domanda di brevetto, per cui pensò di chiedere aiuto a quel rivenditore di San Francisco e nel 1872 scrisse a Strauss. Affare fatto: il 20 maggio 1873, arrivò, a nome di entrambi, il brevetto.

I primi Levis (waist overalls, come venivano chiamate) arrivavano direttamente dalle casa delle sarte impiegate presso la Strauss, che di fronte alle grandi richieste ben prestò dedicò un’intera industria alla produzione dei blue jeans. Era arrivato il successo; e nel 1886 arrivò anche il marchio di fabbrica, l’etichetta in pelle, sintesi della qualità del prodotto di casa Levis: due cavalli che tirano un paio di pantaloni senza riuscire a romperli.


 
 
 

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